Vorrei proporti una storia sul solstizio d’estate, un racconto pieno di magia che intreccia realtà e leggenda, tradizioni dimenticate e persone pronte a cogliere quell’essenziale invisibile agli occhi.

C’era una volta un giovane bioarchitetto, nato il 29 di febbraio. Egli amava talmente tanto la Natura che essa aveva iniziato a dialogare con lui, felice di potersi finalmente fidare di un uomo. In particolare, questo ragazzo “parlava” con un antichissimo Faggio, che si trovava in Valvestino, luogo incantato e incontaminato sopra il lago di Garda.

L’architetto si recava spesso in questo posto magico, per farsi raccontare dall’albero tutte le epoche che aveva vissuto e le stagioni che aveva visto passare. La lingua che parlavano era sconosciuta, ma il ragazzo la capiva. Un giorno il Faggio gli insegnò la canzone degli alberi, in modo che lui potesse creare un legame con tutta la Natura, dovunque fosse, in qualunque momento. Il ragazzo, immensamente grato di questo dono, tramandò la canzone di bocca in bocca, di canto in canto.

Quando mia madre l’apprese, aveva appena 11 anni e, tempo dopo, me la insegnò che ero ancora una bambina. Forse perché i bimbi sono molto più aperti alla magia, ma ricordo che sentii un brivido in tutto il corpo. Mi sentivo allacciata alla Terra, al vento, all’acqua che scorreva chissà quanto in profondità sotto di me, la sentivo, sentivo tutto. Percepivo il legame profondo con la vita sul Pianeta e me ne sentivo improvvisamente parte.

Ho conservato dentro di me questo ricordo e questa canzone e, ogni volta che mi sono sentita lontana dalla Natura, l’ho canticchiata tra me e me, per recuperare ancora quel legame.

Cosa c’entra tutto questo con il solstizio d’estate? Ecco, da quando ho imparato questa melodia, ogni anno, la notte del 21 giugno, mi inoltravo con i miei cugini e i nostri genitori nel bosco della casa al mare e la cantavamo tutti insieme, ripetendone le parole sia nella lingua degli alberi sia nella nostra. Il testo era semplice e parlava del viaggio di un seme che si prepara a diventare un albero: “Il Vento mi trasportò, il Sole mi scaldò, la Terra mi nutrì, l’Acqua mi dissetò”.

Piano piano, centinaia di lucciole iniziavano a comparire, lampeggiando con il loro ritmo che pareva perfettamente a tempo con la nostra melodia. Volteggiando in aria con un’armonia che solo la Natura sa creare, formavano un cerchio compatto tutto intorno a noi, rendendoci parte di quella magia incredibile. Questa danza durava solo qualche minuto, ma sembrava eterna. Una volta smesso di cantare, le lucciole, semplicemente, tornavano a volare e lampeggiare “disordinatamente” come sempre, disperdendosi nel sottobosco, come se avessimo interrotto un incantesimo.

Oggi ho 23 anni, continuo a cantare la canzone degli alberi e, soprattutto, continuo a ballare con le lucciole durante il solstizio d’estate, e non ho nessuna intenzione di smettere. Sarò sempre grata a quel ragazzo, che ha capito quanto sia importante amare e rispettare l’ambiente e il modo migliore per farlo: saperlo ascoltare, seguire i suoi insegnamenti, farne tesoro e tramandarli. Per mantenere vivo il preziosissimo rapporto con la nostra generosa e bellissima madre: la Natura.

Testo: Mariele Bado

Illustrazione: Melissa Bado

Articolo tratto da Vivi a Fiori Estate: https://www.viviafiori.it/digitale/n02-2021/



Commenti

commenti